ANDY WARHOL TRA POP ART E RELIGIOSITA’

a cura di Laura Ferretti

 Si è appena conclusa, nella magnifica cornice delle stanze del Chiostro del Bramante dal 29 settembre 2006 al 7 gennaio 2007, la mostra dedicata ad Andy Warhol dal titolo: Pèntiti e non peccare più! (Repent and Sin No More!).La “Dart Chiostro del Bramante” non poteva scegliere artista migliore per festeggiare, in collaborazione con “The Warhol Museum” di Pittsburgh, il 10° anniversario di questo stupendo spazio espositivo a Roma, dal momento che fu proprio con una mostra di Warhol (“Viaggio in Italia”) che, dieci anni fa, aveva inaugurato la sua attività.I 30 minuti di fila per accedere alla mostra sono ricompensati da una ricca presenza di opere dell’artista (circa 80 pezzi) che spaziano dal 1963 con la serie dei Disaster, al 1982 con le opere Crosses, Guns, Knives ed Eggs, dagli anni ’70 con i ritratti delle icone Capote, Fonda, Minelli, Jones, ecc, al 1985 con il magnifico The Last Supper.

Nelle prime sale ci accolgono, ci seguono e ci inseguono gli “slogans” visivi degli anni ’60: Marylin Monroe, Marlon Brando, Jackie Kennedy rappresentata nel giorno dei funerali del presidente assassinato, Liz Taylor. Immagini tratte dai mezzi di informazione di massa e, come in un giornale o in un notiziario, riprodotte, divulgate, vedute e vendute milioni di volte.

Consumate, logorate, sfatte. Solo “nutrendoci” di queste immagini riusciamo ad impararle e a riconoscerle, ma sono già passate, rendendoci testimoni, ma non giudici, di un “consumo” che non fa storia.In una analisi psicologica della massificazione della notizia in cui, l’immagine “ripetuta e quindi consumata” si sedimenta nell’inconscio collettivo e, nel suo consumo, muore.

E in questa massificazione, il fondo oro delle icone bizantine, simbolo di eternità, sembra riscattare il “consumo” di Marylin Monroe e Jackie Kennedy che appaiono, nelle opere  Golden Marilyn e Golden Jackie, su uno sfondo d’oro. Ma è di fronte all’imponente The Last Supper (cm 400×128, da “L’ultima cena”di Leonardo) che si riesce a cogliere il grande lavoro interiore che l’artista ha portato avanti negli ultimi anni di vita.Lavoro che lo ha portato a studiare, smembrare e riprodurre l’opera fino a identificarla con la sua intima religiosità, quasi un tributo cosciente alla salvezza della sua anima (morirà infatti nel 1987).

Nella stessa sala troviamo, quasi da contraltare a The Last Supper, Crosses, Guns, Knives ed Eggs, di qualche anno prima.E’ qui che scopriamo, tra simboli di immortalità e resurrezione, un Warhol religioso, praticante, che della religione unìate conserva la devozione verso i santi ortodossi, verso le icone.

E’ questa ricerca di religiosità interiore, che porta Warhol ad interpretare capolavori dell’arte classica, tra cui la Madonna Sistina e l’Annunciazione di Raffaello, la Nascita di Venere del Botticelli o San Giorgio e il Drago di Paolo Uccello, con un lavoro di rivelazione di quanto c’è di “immortale” nelle opere d’arte dei grandi maestri.

E qui il lavoro interiore lo possiamo “toccare”: la materia grezza fotografica rielaborata con diversi colori, l’immagine trasferita su tela o seta viene ritoccata, incisa, delimitata, sottolineata, contornata.Ma è nel dipinto realizzato da Warhol quando frequentava il Carnegie Institute of Technology di Pittsburgh, raffigurante la sala da pranzo della sua famiglia dominata dal crocefisso e dalla radio, che il discorso si chiude nei due simboli fondamentali della sua esistenza.Il primo e l’ultimo Warhol, il dissacratore e il religioso.

Lasciando la mostra, l’opera “Repent and Sin No More!” ci congeda  con il suo monito.Usciamo attraversando il Chiostro ormai buio, ci infiliamo dentro i vicoli con la sensazione di aver scoperto una parte intima e mistica di un artista in cui lottavano valori tradizionali religiosi e  modernità.Di aver partecipato alla segreta confessione di una “icona” della nostra epoca.