ILLUMINAZIONE SULLA EMERGENZA CLIMATICA

Catello Masullo

ILLUMINAZIONE SULLA EMERGENZA CLIMATICA

Catello Masullo

  1. Premessa

La lettura di “Dialoghi sul clima”, a cura di Alberto Prestininzi, Edizioni Rubettino, Ottobre 2022 (si veda nei RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI alla fine dell’articolo, con il numero di riferimento (1)) è stata una vera illuminazione. Vorrei quindi argomentare e condividere questa illuminazione. Non sarò breve, ma spero ne valga la pena.

Vorrei fare una premessa. Fino al 2008, 15 anni fa, la pensavo come la maggioranza degli esseri umani sul clima. In buona fede pensavo che la causa del riscaldamento globale fosse l’azione dell’uomo, che immetteva sempre più CO2 in atmosfera, che l’IPCC (International Panel on Climate Change) delle Nazioni Unite fosse il massimo organo scientifico mondiale e che i rapporti che emetteva periodicamente fossero degni di fede. E capisco, quindi, come i più ne siano tutt’ora convinti, in totale buona fede. D’altra parte tutti i media diffondono continuamente gli allarmi IPCC e importanti decisioni politiche vengono prese per tentare di rallentare il riscaldamento globale e gli effetti di quella che viene definita una “emergenza climatica”.

Cosa mi sarà mai successo nel 2008 da indurmi a farmi dubitare sulle certezze planetarie così largamente diffuse? Una chiacchierata con l’amico Roberto Vacca a Napoli, in occasione di un benemerito convegno organizzato dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri, tal titolo:INGEGNERI ITALIANI A CONVEGNO SULL’ACQUA: LA EMERGENZA DEL XXI SECOLO”, del quale un breve resoconto è fornito nel link di cui al riferimento bibliografico (2) in fondo all’articolo. Conoscevo da tempo Roberto Vacca, del quale ho sempre divorato i libri, e del quale mi onoro da decenni di pubblicare gli interventi sulla testata giornalistica che dirigo, “Il parere dell’ingegnere”. Ho profonda stima del suo pensiero libero, della sua straordinaria capacità di ricerca e di comprensione dei fenomeni complessi. Mi meravigliai quindi non poco quando mi disse che dagli studi ed approfondimenti che aveva effettuato si era convinto che la causa del riscaldamento in atto era eminentemente naturale e che la componente antropica era del tutto residuale. Ricordo che lo derisi, amichevolmente, per questo (ed ancora mi cospargo il capo di cenere per averlo fatto). Mi rispose con un sorriso tra il beffardo ed il benevolo. Un sorriso che conoscevo bene. Senza dire una sola parola mi stava dicendo, con il linguaggio del corpo, che non aveva nessuna voglia di perdere tempo a convincermi delle sue tesi, che se volevo restare con le mie convinzioni mainstream ero libero di farlo, peggio per me. E forse, mi stava anche suggerendo, che un giorno ci sarei arrivato anche io. Allora feci quello che faccio da sempre quando ho un dubbio. Mi misi a studiare e ad approfondire. A cominciare dalla mia materia (per chi non mi conoscesse, mi sono laureato con lode , nel 1978, in Ingegneria Idraulica, con una tesi in Idrologia, ho insegnato materie idrauliche ai giovani aspiranti ingegneri per oltre un quarto di secolo alla Sapienza e, successivamente, per una decina d’anni a Roma 3, svolgo attività professionale nella specifica materia da oltre 45 anni, ho condotto per decenni attività di ricerca scientifica con pubblicazione di svariati interventi in convegni nazionali ed internazionali). Ho scoperto subito che non era e non è affatto vero che i cosiddetti “cambiamenti climatici” provochino piogge più intense e ravvicinate e che siano cause di alluvioni sempre più frequenti e devastanti. Consultando i dati ufficiali è stato immediato verificare che i massimi valori di precipitazioni intense che si sono registrati in Italia si riferiscono a svariati decenni orsono e non sono mai stati superati : “Il cambiamento climatico: le conseguenze idrologiche ed idrauliche”,  è il titolo di un seminario scientifico organizzato il 17 giugno 2021 dalla Sezione Italia Centrale della Associazione Idrotecnica Italiana, congiuntamente con la Commissione Dissesto Idrogeologico dell’Ordine degli Ingegneri di Roma, il più grande di Europa, Enti che raggruppano i massimi esperti nazionali in materia di ingegneria idraulica ed idrologia. Dagli atti del seminario si apprende che uno studio di dettaglio sulla serie storica di 150 eventi di piena registrati a Reggio Calabria dal 1600 ad oggi, di cui il 4% responsabili di danni alla popolazione, ha confermato che il trend crescente di danni è dovuto alla espansione edilizia e non all’andamento delle piogge. Queste ultime, infatti, sono risultate in leggera diminuzione. Un’ altra ricerca su piogge e calamità idrogeologiche in Puglia dal 1877 al 2008 ha messo in evidenza una generale tendenza al calo della piovosità e dell’intensità di pioggia, mentre sono in aumento le calamità a causa dell’uso del territorio con crescente utilizzo di aree a pericolosità idrogeologica non trascurabile, dati riportati da Olga Petrucci et al. (2011). A Roma, dal 1941 al 2007 si sono verificati solo 4 nubifragi (cioè con precipitazione maggiore di 40 mm in mezz’ora, oppure 60 mm in un’ora, o 70 mm in due ore, o 80 mm in tre ore); negli anni: 1953 (99 mm in un’ora), 1972, 1986 e 1993. La massima pioggia in 24 ore è 180 mm il 13 novembre 1946, dati riportati da F.Mangianti & F.Leone (2011)”. Ed ancora: “a Bolzaneto ( GE), il 19 ottobre 1970 di millimetri di pioggia ne sono caduti 948”. Dato mai più superato. cfr. (3).

Mi sono quindi chiesto perché mai l’IPCC mentisse così spudoratamente su dati inoppugnabili, pubblici e leggibili da tutti. Ci ho messo un po’ di tempo a trovare le risposte a questo e ad altri dubbi che mi venivano, sempre di più, in merito alla sbandierata “emergenza climatica”. E le conferme ai miei dubbi sono state confermate dal testo “Dialoghi sul clima” (1), come andrò meglio a trattare nei capitoli che seguono.

  • L’IPCC (International Panel on Climate Change) delle Nazioni Unite è davvero l’unico “verbo”?

Nel richiamato seminario scientifico organizzato il 17 giugno 2021 dalla Sezione Italia Centrale della Associazione Idrotecnica Italiana (3), il Prof. Alberto Prestininzi, già Professore Ordinario di Rischi Geologici e Direttore del Centro di Ricerche CERI dell’Università di Roma La Sapienza, ha ricordato che: “a seguito dei comunicati IPCC, il quotidiano La Repubblica nel 1989 titolava a caratteri cubitali: “Abbiamo dieci anni per salvare la terra”. Nel 2007 questi anni erano diventati solo due. Nel 2007 il Corriere della Sera riferiva un altro appello dell’IPCC: otto anni per salvare la terra. Ancora La Repubblica nel 2013: ci sono 10 anni per salvare la terra, il 99% degli scienziati conferma che il riscaldamento globale è dovuto alla attività dell’uomo. Ed ancora i dati IPCC (e/o degli stessi studiosi che lo avrebbero poi costituito nel 1988) sul sollevamento del livello del mare a causa del riscaldamento globale: nel 1977 era stimato un innalzamento di sei metri (sigh!), nel 1985 in 1,4 metri, nel 1990 in 0,3 metri, nel 1995 in 0,2 metri. Tempi successivi: non pervenute…”.  Quale azienda privata continuerebbe a finanziare un proprio centro studi che sbagliasse così clamorosamente le previsioni e le proiezioni per il futuro? Gli allarmi dell’IPCC sono puntualissimi, seppure altrettanto puntualmente, non si avverino mai. L’ultimo lo trovate sul Corriere della Sera del 21 marzo 2023, nell’articolo a firma di Paolo Virtuani, a pagina 21, il quale così inizia l’ennesimo allarme catastrofista: “Clima, ultima chiamata ma c’è speranza. La situazione è grave (“ma non seria”, avrebbe chiosato da par suo Ennio Flaiano, ndr…), tuttavia se si agisce subito e a fondo si può ancora invertire la rotta. Come? Incrementando le energie rinnovabili, diminuendo il consumo di suolo, favorendo la forestazione, aumentando l’efficienza energetica di edifici e sistemi produttivi. I soldi? Ci sono. Le tecnologie? Già disponibili. Quanto tempo rimane? Un decennio.”. In pratica ogni dieci anni un (pen)ultimatum, afferma che mancano sempre (grosso modo) dieci anni per “salvare il mondo”. In pratica un copia/incolla. Comprensibile, è una azione “SINDACALE”, difendono il proprio posto di lavoro. Se l’allarme non fosse continuamente rinnovato li manderebbero a casa.

Tutti si comportano con un atteggiamento che ha del fideistico nei confronti dell’IPCC. Al “verbo” IPCC si deve credere per definizione, senza pensare. Per fede. Ma, attenzione, con la fede ci si crede, con la scienza ci si vede. È vero che tutti gli scienziati del mondo sono rappresentati nell’IPCC come viene sempre sbandierato? Sembrerebbe proprio di no. “ https://clintel.org/italy-wcd/ : Una rete globale di oltre 1400 scienziati e professionisti ha preparato questo messaggio urgente. La scienza del clima dovrebbe essere meno politica, mentre le politiche del clima dovrebbero essere più scientifiche. Gli scienziati dovrebbero affrontare apertamente le incertezze e le esagerazioni delle loro previsioni sul riscaldamento globale, mentre i politici dovrebbero spassionatamente valutare i costi reali così come i benefici, ipotizzati dalle loro misure politiche”. (3)

Cosa molto più grave è che IPCC trucca clamorosamente i dati scientifici. Nell’articolo I fisici USA si ravvedono: il riscaldamento globale non è antropogenico” (10), il sempre informatissimo Roberto Vacca ci informa, a gennaio del 2010, che: Recentemente i rovinografi che vaticinano un forte ed esiziale riscaldamento globale causato dall’uomo, sono stati presi con le mani nel sacco. A novembre 2009 uno hacker ha pubblicato una lunga serie di e-mail che P. Jones (Climatic Research Unit britannico) e M.E. Mann (Penn State University) si scambiavano negli ultimi anni in cui discutevano trucchi statistici per negare l’esistenza del periodo caldo medioevale e della piccola era glaciale (dal XV al XVIII secolo) e nascondere misure recenti di temperature calanti che contraddicevano i drammatici aumenti menzionati nei loro articoli. Si accordavano anche su come evitare che note riviste scientifiche pubblicassero lavori di scienziati che non condividevano la loro fede nell’esistenza di un surriscaldamento antropogenico dell’atmosfera. L’Istituto russo di Analisi Economiche ai primi di dicembre 2009 (v. “Rionovosta” su Google) ha denunciato che il Centro Hadley sui Cambiamenti Climatici, facente parte dell’Ufficio Meteo Britannico a Exeter, ha eliminato dalle sue basi dati fra il 60% e il 75% dei rilevamenti ricevuti dalle stazioni meteo russe. Secondo l’Istituto russo, il Centro Hadley avrebbe eliminato i dati che non indicavano aumenti di temperatura, riportando solo quelli provenienti da grandi zone cittadine influenzate da riscaldamento urbano. Il 20 dicembre 2009 il Daily Telegraph di Londra ha pubblicato un servizio sulla fortuna accumulata da Rajendra Pachauri, presidente dell’IPCC, mediante i suoi traffici con le aziende attive nel carbon trading, il commercio di crediti e permessi per l’emissione di anidride carbonica. Ironia della sorte: i catastrofisti climatici hanno accusato (senza mai addurre prove) scienziati critici delle loro posizioni di essere pagati dai petrolieri; invece proprio Pachauri, il loro capo, è stato direttore di India Oil, la più grossa azienda indiana, e della National Thermal Power Generating Company. Pachauri è stato descritto come un guru del clima – invece è ingegnere ferroviario e ha una laurea in economia. Dal 2001 dirige il Tata Energy Research Institute (TERI) creato dal Gruppo Tata che produce acciaio, auto, energia, telecomunicazioni e ha comprato fra l’altro Jaguar e Land Rover. TERI ha una filiale a Washington che conduce attività di lobbying su questioni di energia e ambiente, ha ottenuto contratti per rimettere a posto i disastri lasciati da Saddam durante l’invasione del Kuweit. TERI Europe gestisce un progetto sulle bio-energie, finanziato dall’Unione Europea. La TERI non pubblica bilanci – le entrate di Pachauri sono segrete. La Tata è attiva nel carbon trading. Pachauri ha incarichi anche da altri enti e aziende che possono trarre benefici dalle misure invocate dall’IPCC. Fra questi: ONU, Siderian (finanziaria californiana specializzata in tecnologie sostenibili), Credit Suisse, Rockefeller Foundation, Pegasus (fondi di investimento), Nordic Glitnir Bank, Indochina Sustainable Infrastructure Fund, Climate and Energy Institute dell’Università di Yale, Comitato di Consulenza Economica per il Presidente del Consiglio dei ministri indiano, Deutsche Bank, Istituto Giapponese per le Strategie Ambientali Globali, SNCF (Ferrovie dello Stato francesi). Chi è interessato, potrebbe andare a lezione di Conflitto di Interessi. La American Physical Society (APS) nel novembre 2007 aveva affermato: “L’emissione di gas serra dovuti ad attività umane modificano l’atmosfera e il clima terrestre. Le prove sono incontrovertibili. Il riscaldamento globale è in corso. La APS sollecita governi, università, laboratori ad appoggiare misure per ridurre l’emissione di gas serra.” Ora membri autorevoli dell’APS hanno proposto di rivedere quella dichiarazione riconoscendo che “… misure e ricostruzioni di temperature terrestri indicano che quelle del XX e XXI secolo non sono eccezionali né persistenti, che i dati storici e geologici mostrano che in periodi passati le temperature erano maggiori delle attuali. Inoltre la letteratura scientifica dimostra gli effetti benefici di un aumento dell’anidride carbonica sia per le piante, sia per gli animali.” Questo ravvedimento dei fisici americani è tardivo. Erano disponibili da tempo grafici della temperatura atmosferica degli ultimi 11 millenni elaborati dalla NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration). Il grafico seguente mostra gli aumenti della temperatura ogni 1000 anni rilevati dai carotaggi di ghiaccio profondo nella Groenlandia centrale. La tabella riporta i valori più alti della velocità di crescita della temperatura: simili e in 2 casi doppi di quello di circa mezzo grado per secolo verificatosi negli ultimi due secoli.

Anni prima del presenteAumento medio temperatura °C/secolo
   1000    0,3
   3300    0,7
   7000    1,07
   8000    1,29

Il 22/12/2009 il mensile SPECTRUM dell’Institute of Electrical and Electronics Engineers ha pubblicato sulla conferenza di Copenhagen una corrispondenza allineata sulle posizioni convenzionali dei catastrofisti. Dopo poche ore pubblicava on line duri commenti critici mio e di altri. Ora John Beddington, professore di scienze ambientali e capo dei consulenti scientifici del Governo inglese, ha condannato gli scienziati che, per non essere criticati, rifiutano di rendere noti i dati su cui basano le loro analisi. Ha ricordato che la critica è vitale per la scienza (va meditata, non soffocata) che previsioni e modelli matematici del clima sono affetti da grosse incertezze e quindi, le previsioni vanno diffuse come ipotesi e non come certezze. Sono emersi, infatti, vari passi falsi dell’IPCC. Nel 2007 annunciò che i ghiacciai Imalaiani si scioglieranno nel 2035, citando un articolo divulgativo del 1999 su New Scientist che indicava la data del 2350. Ha stimato che i ghiacci artici spariranno nel 2020, ma la loro area è variabile e negli ultimi 2 anni è cresciuta. Ha dichiarato che il riscaldamento globale causa un aumento di uragani e inondazioni, citando un lavoro di R. Muir-Wood, il quale rettifica: “Mi hanno male interpretato e l’idea che le catastrofi causino danni maggiori a causa del cambiamento climatico è del tutto fuorviante.” Diedero credito a queste visioni distorte anche Miliband, ministro inglese di energia e ambiente, e il Primo Ministro Brown. Molti, come loro, sono ora in imbarazzo: la bolla del riscaldamento globale si sta finalmente sgonfiando.”

In pratica, i cosiddetti “scienziati” dell’IPCC sono stati sorpresi “cor sorcio ‘nbocca”, come direbbero a Roma. Con le mani nel sacco, e che sacco! Un vero e proprio “Climategate”. In “Dialoghi sul Clima” (1), a pag. 345, possiamo leggere a proposito di questa vicenda: “Bisogna attendere l’anno successivo, il 2010, per assistere alla discutibile posizione difensiva del premio Nobel Rajendra Pachauri, allora presidente dell’IPCC fin dal 2002, allorché nel corso della trentaduesima sessione planetaria dell’istituto afferma che i problemi dell’IPCC provengono dalla componente strutturale del Segretariato interno, composto da un vertice (il Presidente) di provenienza WMO, da un vicesegretario di derivazione dell’UNEP7, da altro personale di supporto (due assistenti di segreteria e un assistente amministrativo). E sostiene che il Presidente dell’IPCC (ossia lui) non ha avuto alcuna attribuzione formale negli eventi. Ma il vero problema, quello dei contenuti propri del carteggio sfuggito al controllo, non è neppure sfiorato. Fatto sta che anche a Pachauri viene consegnato il premio Nobel per la Pace. E così Rex Fleming, esperto di scienze dell’atmosfera e già presidente del Global Aerospace, che ha rappresentato gli Stati Uniti sulle questioni ambientali per oltre un decennio ed è stato membro dell’IPCC, ne esce volontariamente e con indignazione. In diversa sede, Ivar Giaever, noto fisico e premio Nobel (1973), che denuncia la tesi secondo la quale le attività umane sono alla base del riscaldamento globale, consegna le dimissioni dall’Accademia durante un discorso, tenuto in presenza di Al Gore, all’American Physical Society, a seguito di un comunicato della medesima Società che dichiara incontrovertibile la tesi, appunto, del riscaldamento globale. È il settembre del 2011 e già l’anno precedente un altro eminente scienziato, il compianto Harold Warren Lewis (già professore emerito di fisica ed ex presidente del Dipartimento dell’Università della California Santa Barbara – UCSB), si dimette con una motivazione diretta e inequivocabile: «il riscaldamento globale è la più grande e riuscita frode pseudoscientifica che abbia mai visto nella mia lunga carriera di fisico». Più chiaro di così? Che poi, ad informarsi meglio, in effetti, l’IPCC non rappresenta un gruppo dei migliori scienziati del mondo che studia i cambiamenti climatici, come i media sembrano credere e voler far credere, ed infatti è composto soprattutto di economisti. È stato istituito per raccogliere dati e studi, finalizzati a suggerire ai governi quali politiche adottare. Gli scienziati che lo compongono sono designati dai governi e quindi sono piuttosto “scienziati per meriti politici”, che per meriti scientifici. In “Dialoghi sul Clima” (1) , Nicola Scafetta, Professore di Climatologia – Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse, Università degli Studi di Napoli Federico II, Complesso Universitario di Monte S. Angelo, via Cinthia, 21, 80126 Napoli, a pag 62 scrive : “A tale riguardo è bene tenere presente che l’IPCC non è un organismo scientifico ma politico, il cui ruolo è «di valutare su una base globale, obiettiva, aperta e trasparente le informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche rilevanti per comprendere i rischi dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo, i potenziali impatti e le opzioni di adattamento e mitigazione» (Principles Governing IPCC Work: https://archive.ipcc. ch/organization/organization_history.shtml). Cioè, l’IPCC è responsabile dell’avanzamento delle conoscenze sui cambiamenti climatici indotti dall’“uomo” e non di quelli indotti dalla “natura” e, quindi, le scelte dell’IPCC sono sicuramente viziate da un pregiudizio ideologico finalizzato a enfatizzare il contributo climatico antropico su quello naturale”. I corposi rapporti prodotti negli anni si sono infatti pesantemente contraddetti, con clamorose marce indietro su questioni fondamentali, come l’andamento storico del riscaldamento. Rappresentato correttamente nei primi rapporti con le oscillazioni registrate e/o dimostrate dagli studi scientifici esistenti, e poi con un andamento sempre crescente, con un picco finale, con la forma di una mazza da hockey, che meglio si adattava agli allarmi catastrofisti della più recente strategia IPCC(1). Altra pesante contraddizione è quella facilmente riscontrabile ad un esame accurato tra i rapporti propriamente detti, composti di centinaia di pagine, dati e tabelle, normalmente abbastanza corretti, ed i riassunti destinati ai decisori politici. Questi ultimi riassunti, gli unici ad essere letti e divulgati dai media, sono spesso in netto contrasto con i rapporti e contengono solo allarmi catastrofisti. Sembrano scritti da persone diverse dagli estensori dei rapporti. Leggere e studiare per credere.

Oggi chi osa accennare dubbi sulla “verità rivelata” da IPCC è tacciato di essere un “negazionista”. Negazionista è chi nega l’olocausto degli ebrei, “non c’azzecca niente” nel caso di specie, direbbe un vecchio politico molisano. Avere dubbi sulle falsificazioni scientifiche di IPCC, sopra dimostrate, è invece un dovere per ogni uomo di scienza, che si riferisca a fatti dimostrabili e non a scenari catastrofici indimostrabili.

  • La CO2 (anidride carbonica) è davvero la nostra nemica?

La CO2 è criminalizzata da tutti i media e dall’IPCC. Come se fosse il nostro maggior nemico. Dimenticando che la CO2 è il necessario alimento per il mondo vegetale. In “Dialoghi sul Clima” (1), Luigi Mariani, professore di Agrometeorologia, a pag 258 scrive: “L ’agricoltura è inoltre da intendere come forma evoluta di gestione del ciclo del carbonio da parte dell’uomo. Fin dalla loro comparsa, infatti, i vegetali esercitano un ruolo chiave nel ciclo del carbonio sul nostro pianeta, il che emerge in termini quantitativi dai seguenti dati di fatto:

1. l’aumento di CO2 rispetto alla fase preindustriale ha finora portato ad un aumento del 20-40% della produzione agricola mondiale annua (Sage e Coleman 2001; Araus et al. 2003), il che è assai vantaggioso in termini di sicurezza alimentare globale (Mariani 2017);

2. ogni anno, durante l’estate boreale, si assiste a un decremento di circa 6 ppmv nella concentrazione atmosferica di CO2, il che attesta l’efficacia della vegetazione nella regolazione del segmento atmosferico del ciclo del carbonio;

3. la più elevata disponibilità di CO2 sta dando luogo ad un arretramento generalizzato dei deserti e a un rinverdimento del pianeta (Herrmann et al. 2005; Helldén e Tottrup 2008)”.

Ed inoltre: “L’agricoltura può garantire sicurezza alimentare nella misura in cui non si smette di aver fiducia nell’innovazione tecnologica basata sulla scienza. In sintesi dunque i problemi odierni o futuri della sicurezza alimentare non si affrontano con gli “antichi saperi” o con tecniche obsolete o a base magica e non si affrontano neppure demonizzando la zootecnia o sostenendo che dobbiamo tutti diventare vegetariani. Al contrario occorre una mentalità aperta verso l’innovazione e che sappia garantire un efficace adattamento al clima che cambia, lo stesso adattamento che i nostri avi agricoltori hanno mostrato di saper realizzare nei diecimila anni che ci separano dalla nascita di questa indispensabile tecnologia”.

In definitiva la CO2 svolge un benefico ed indispensabile ruolo di concimazione carbonica e quindi non va demonizzata, né considerata un nemico.

Giuliano Ceradelli, Ingegnere, Project manager del settore energia, a pag 280 (1), scrive: “non ci sono evidenze statistiche che la fase di riscaldamento terrestre in corso, iniziata nel 1850 e successiva alla cosiddetta Piccola Era Glaciale, abbia intensificato o reso più frequenti gli uragani, le alluvioni, la siccità e i disastri naturali. Invece le misure di contenimento della CO2 sono tanto dannose, quanto costose. Non c’è nessuna emergenza climatica, pertanto non c’è alcuna ragione che giustifichi panico e allarme. In conclusione, occorre opporsi fermamente alle irrealistiche politiche di Zero Netto di CO2 previste per il 2050. Al contrario di ciò che si sta facendo ora, lo scopo della politica internazionale dovrebbe essere quello di fornire energia affidabile e a buon prezzo per tutti. Mentre la scienza si sforza per capire meglio il cambiamento climatico, la politica dovrebbe minimizzare i rischi potenziali e puntare su tecnologie rodate ed economicamente accessibili.” Ed ancora a pag 285 (1): “In ere geologiche del passato la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera ha superato i 4000 ppm, come per esempio nel Periodo Permiano. L’anidride carbonica è il cibo base delle nostre piante e di altri organismi fotosintetici, sapendo che le piante formano la base di qualunque catena alimentare di cui animali e umani hanno ampiamente usufruito nel corso dei secoli e millenni. I meccanismi della fotosintesi sono tali per cui quando degli organismi fotosintetici muoiono, i loro resti sono sottoposti a forti processi geologici che convertono la loro materia organica in petrolio, carbone e gas metano. Questi prodotti non sono altro che i combustibili fossili che usiamo dall’epoca della rivoluzione industriale e che hanno consentito all’umanità di fare progressi in ogni campo della scienza, della tecnologia e della medicina. Si sta ritornando così alla terra la CO2 che un tempo nel Periodo Carbonifero alla terra apparteneva e quindi la CO2 non può essere considerata un inquinante perché ritorna in atmosfera. Per forse più del 90% del tempo geologico del nostro pianeta i carotaggi ci mostrano che il nostro pianeta è stato nel lontano passato molto più freddo rispetto a oggi. Noi umani quindi siamo fortunati di vivere oggi nel più recente intermezzo caldo dell’alternarsi tra caldo e freddo. È un periodo lungo circa 10,000 anni chiamato Olocene durante il quale la nostra civiltà ha prosperato. Se ci guardiamo indietro per centinaia di migliaia di anni il clima è andato mutando con i mutamenti dell’orbita terrestre ogni 20.000, 41.000 e 100.000 anni, o per oscillazioni dell’intensità dei flussi di energia dal Sole, ecc., cioè il clima cambia incessantemente con suoi cicli che non conosciamo ancora completamente. Inoltre, sempre i carotaggi nei ghiacci ci hanno dimostrato, a differenza di quanto ci racconta la narrazione dominante, che nel passato le variazioni in aumento delle temperature precedevano gli aumenti di concentrazione dell’anidride carbonica.”

Secondo questa visione, che trova riscontri in numerosi altri studi, non è la CO2 che provoca l’innalzamento della temperatura, ma esattamente il contrario. Quando si tratta di impegnare ingenti risorse finanziarie pubbliche, prelevandole dalle tasche dei contribuenti, sarebbe d’obbligo effettuare una corretta analisi costi/benefici. Indirizzando gli investimenti pubblici verso le azioni che maggiore beneficio portino alla umanità. Ad esempio, invece di criminalizzare la CO2 ed avere l’ossessione (insana) di azzerarla, combattendo l’inquinamento e migliorando l’immagazzinamento e la gestione dell’acqua. E, peraltro, è tutt’altro che dimostrato scientificamente che azzerando la CO2 si avrebbe un abbassamento delle temperature.

  • È possibile prevedere il clima del futuro?

Non esistono modelli validati che prevedano il clima futuro. Le uniche previsioni meteorologiche affidabili sono quelle ad una settimana, max 10 giorni. Quindi le svariate decine di modelli utilizzati da IPCC per le sue proiezioni future forniscono scenari ed indicazioni senza fondamento scientifico validato. Inoltre, nessuno di questi modelli riesce a simulare i cicli climatici del passato, sui quali esistono, invece, numerosi studi scientifici validati. Come quelli di Teresa Nanni, già Direttore di Ricerca in ISAC CNR – Via Gobetti 101, 40129 Bologna, Italia, e Franco Prodi, già Direttore dell’Istituto ISAC- CNR Bologna, a pag 160 di ”Dialoghi sul Clima” (1) scrivono : “… tutte le curve derivano dalle analisi delle carote di ghiaccio ottenute dalla carota di Vostok in Antartide, studiate per tutti questi parametri. È interessante notare che tutti i parametri indicano un comportamento simile, con cicli di 41.000 anni e, sotto, cicli di 100.000 anni da attribuire a variazioni di eccentricità, inclinazione assiale e precessione dell’orbita terrestre. Le oscillazioni da una glaciazione all’altra sono dell’ordine di 6-8 gradi. Anche registrazioni a lungo termine sono state ottenute dalla recente perforazione EPICA Antartica (Figura 6), che raggiunge i 740.000 anni e rivela 8 precedenti cicli glaciali.”  Oppure quelli di Ernesto Pedrocchi, Professore Emerito di Energetica – Politecnico di Milano, il quale a pag 173 (1) scrive:Il clima globale è un sistema fisico estremamente complesso che dipende da molti fattori fisici-chimici-biologici, endogeni ed esogeni quasi tutti poco noti. Le proiezioni catastrofiche che ora vengono proposte sono basate sui risultati ottenuti con modelli matematici (denominati General Circulation Model, GCM) che differiscono anche molto fra loro e che in media danno risultati non attendibili sia per periodi recenti che remoti. D’altronde l’IPCC stesso riconosce che il sistema climatico è molto complesso ed è molto difficile fare previsioni attendibili a lungo termine, ciononostante utilizza questi modelli per fare proiezioni allarmanti che orientino le scelte politiche. La linea direttiva nello stendere questo documento sul clima globale è quella di far parlare i dati sperimentali del passato remoto, storico e recente e farli conoscere agli interessati. Non c’è stata sufficiente diffusione di queste particolari conoscenze che risultano invece molto importanti per inquadrare l’evoluzione attuale del clima. Diversi dati attendibili sul clima del passato permettono di sviluppare un approccio descrittivo che può aiutare a meglio conoscere la scienza del clima. Ora è in atto da parte di quasi tutti i media una campagna di disinformazione devastante e c’è il sospetto che specialmente a livello di divulgazione sia in atto una specie di censura per avvalorare l’ipotesi della natura antropica del riscaldamento globale (“Antropogenic Global Warming” – AGW) come verità ufficiale non concedendo spazio ai tanti dubbi che a tutt’oggi pure ci sono. Proprio i dubbi e le domande aperte sono infatti elementi essenziali per il progresso scientifico.” Ed ancora a pag 176 (1): “ la differenza di Tgm tra il massimo nelle interglaciazioni e il minimo nelle glaciazioni è dell’ordine di 10°C. Le ultime quattro interglaciazioni precedenti il periodo attuale hanno avuto il loro apice a circa 125.000, 235.000, 325.000 e 415.000 anni fa. Nell’ultima interglaciazione la Tgm era circa 1-3°C maggiore del valore attuale e il livello del Mediterraneo era più alto di circa 8 m rispetto al livello attuale, come ben risulta da diversi segni”.

  • La transizione verde è sostenibile?

Il mondo occidentale e, segnatamente, l’Europa, si sono dichiarati, almeno sulla carta, per la transizione verde (molto meno nella realtà, visto che le emissioni di CO2 sono sempre nettamente in aumento dappertutto, anche in Europa). Consistente essenzialmente nel passaggio dalla economia basata sul petrolio ad una economia basata sulle energie rinnovabili, anche per l’autotrazione, vedi il proposto divieto di immatricolare veicoli con tradizionale motore a scoppio dopo il 2035 (saggiamente messo in discussione da più di uno stato). Ma questa transizione è sostenibile con le risorse che abbiamo? Dai dati che leggo ne i “Dialoghi sul Clima” (1) sembra che nessuno dei fautori della transizione si sia fatto uno straccio di conto. Giovanni Brussato, ingegnere minerario, scrive a pag: 290 e seguenti: “Produrre oltre 150.000 TWh di energia con il 36% di rinnovabili intermittenti sulla base dell’NZE della IEA significa che circa 55.000 TWh dovranno essere prodotti mediante pannelli fotovoltaici e turbine eoliche. Assumendo un capacity factor pari al 18%1 l’NZE prevede che 109 EJ (1EJ=10^18J) siano prodotti attraverso l’energia solare. Se ipotizziamo un grande “parco” solare della potenza di 1 GW, di questa taglia ce ne sono solo alcuni al mondo, significa che ne serviranno circa 19.000 per produrre i 30.000 TWh previsti dalla IEA. Per costruire ognuno di questi impianti solari di potenza pari a 1 GW occorrono: • ~30.000 t di alluminio; • ~5.000 t di rame; • oltre 200.000 t di calcestruzzo; • oltre 100.000 t di acciaio; • 46.000 t di vetro. Oltre a centinaia di tonnellate di altri metalli come nichel, cromo, molibdeno o titanio, o quelli specifici, necessari in base al tipo di tecnologia solare fotovoltaica adottata… Metalli le cui riserve globali sono di molti ordini di grandezza inferiori alla domanda prevista, come nel caso del tellurio, un metallo relativamente di nicchia utilizzato in alcuni tipi di pannelli solari, che ha una produzione mineraria globale di circa 500 tonnellate metriche… Risulta evidente come la costruzione di 1.200.000 turbine necessarie per il solo onshore richiederebbe centinaia di milioni di tonnellate di acciaio, decine di milioni di tonnellate di rame, zinco, nichel oltre a una quantità di metalli rari la cui disponibilità è lontana dalle possibilità delle nostre catene di approvvigionamento Una crisi, quella della biodiversità, non ancora inclusa integralmente della lotta ai cambiamenti climatici poiché, come vedremo, proprio l’estrazione mineraria, fondamento alla transizione energetica, è il primo nemico della biodiversità. È stato calcolato che l’estrazione mineraria potenzialmente potrebbe influire su 50 milioni di km2 di superficie terrestre, un’area superiore a quella dell’intero continente asiatico, in cui l’8% coincide con le aree protette, il 7% con le principali aree di biodiversità e il 16% con aree ancora incontaminate. La maggior parte delle aree minerarie considerate, l’82%, estrae metalli necessari per la produzione di tecnologie destinate alle energie rinnovabili. Le minacce dell’attività mineraria alla biodiversità, senza una pianificazione volta a tutelarla, potrebbero dunque superare quelle evitate dalla mitigazione dei cambiamenti climatici. L’attività mineraria comporta modifiche dell’alveo dei fiumi, contaminazione ed esaurimento dei corpi idrici, distruzione di habitat, deforestazione, frammentazione di ecosistemi e perdita di biodiversità. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) misura nove fattori di impatto ambientale di cui l’estrazione mineraria dei metalli è responsabile: acidificazione, cambiamento climatico, domanda energetica cumulativa, eutrofizzazione, ecotossicità in ambiente acquatico (acqua dolce) e dei suoli, ossidazione fotochimica, uso del suolo e tossicità umana. Questi impatti minano il tessuto sociale e il contesto ambientale che consentono a comunità ed ecosistemi di essere resilienti agli impatti dei cambiamenti climatici… ci proponiamo di estrarre nei prossimi 25 anni altrettanto rame di quanto ne abbiamo estratto nei precedenti 5.000 anni…. Ecosistema che ci ha servito bene negli ultimi 200 anni ma che diventerà sempre più inefficace perché senza un’abbondante fonte di energia a basso costo, l’estrazione di risorse minerarie diventerà sempre più costosa essendo anche la qualità delle riserve di petrolio in calo da tempo… Con queste parole il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres in apertura della COP26 a Glasgow ammoniva la platea «Basta con l’estrazione mineraria… stiamo scavando le nostre tombe»… Ma la sfida unica, per l’industria mineraria globale, di produrre più metalli riducendo al contempo le sue emissioni di carbonio, non è un obbiettivo realizzabile. Per quanto esposto, la progressiva diminuzione del tenore del minerale comporta l’aumento dell’energia incorporata della produzione di metallo primario e conseguentemente le emissioni di gas serra associate aumenteranno, in particolare nei tenori di minerale inferiori all’1%… Oggi a livello di componentistica il Dragone cinese controlla circa l’89% dell’offerta del mercato ma in realtà, domina tutti gli aspetti della produzione e dell’uso del solare fotovoltaico… . Su un pianeta con un miliardo di automobili, la conversione in veicoli elettrici richiederebbe molto più metallo di tutte le riserve terrestri esistenti e l’estrazione comporterebbe un pesante tributo ambientale e sociale… In realtà la dipendenza nell’approvvigionamento delle materie prime per le tecnologie green appare molto più critica rispetto a quella dei combustibili fossili dove molti dei minerali necessari vedono l’Europa dipendere dalle importazioni per la totalità del fabbisogno con un tasso di riciclo a fine vita pari a zero… Il destino della transizione energetica europea è, in senso letterale, sulle spalle del gigante delle emissioni globali: la Cina le cui emissioni globali superano quelle di USA e UE insieme.”

  • Quali sono i motivi delle clamorose falsificazioni scientifiche dell’IPCC?

“C’est l’argent qui fait la guerre”, dice un vecchio adagio francese. Alla fin fine è sempre il denaro quello che muove le azioni dell’essere umano. E’ illuminante al riguardo quanto riportato da Mario Giaccio, già Professore di Tecnologia ed Economia delle Fonti di Energia, Preside della Facoltà di Economia Università “G. D’Annunzio”, Pescara, a pag 45 e seguenti dei “Dialoghi sul Clima” (1) : “In un’intervista con la «Neue Zürcher Zaitung», Ottmar Edenhofer, vicedirettore del “Potsdam Institute for Climate Impact Research”, e responsabile del Gruppo di lavoro 3 dell’IPCC, dichiarò: «Bisogna dire chiaramente che stiamo di fatto ridistribuendo la ricchezza mondiale attraverso la politica climatica. […] Bisogna liberarsi dall’illusione che la politica climatica internazionale sia politica ambientale. Questo non ha quasi nulla a che fare con la politica ambientale o con problemi come la deforestazione o il buco dell’ozono». In effetti si intuisce che la complicata azione globale per il clima riguarda maggiormente la riorganizzazione dell’economia globale, che non la diffusione di fonti energetiche poco efficienti e molto costose, come le energie rinnovabili, che comporterebbe un drastico abbassamento degli standard di vita specialmente per i meno abbienti. Quale modo migliore per farlo se non quello di iniziare con i più grandi controllori di denaro del mondo come BlackRock? (Engdahl 2020)… Il sistema economico mondiale è diventato obsoleto (come accade a tutti i sistemi), non si può più “estrarre” abbastanza valore, quindi bisogna cambiarlo. Se si potesse fare un’analogia con la fisica, è come se, aumentata l’entropia (il caos finanziario!), il tutto sia diventato più “freddo”, si sia appiattito. Il quadro che emerge è il tentativo di riorganizzare finanziariamente l’economia mondiale usando l’obiettivo “zero emissioni” come scusa. La finalità dell’ideologia climatica non è il benessere del pianeta (e dei suoi abitanti), è il benessere della grande finanza. “.

Ed ecco la spiegazione di tutto. La grande finanza, che notoriamente ha molta più capacità di orientare le politiche globali di quanto abbiano gli Stati, che hanno da tempo abdicato alla “sovranità nazionale”, oramai un lontano ricordo per nostalgici romantici, ha capito da tempo che con l’economia del petrolio non poteva più efficientemente “estrarre valore” (tradotto: “tosare i contribuenti”) ed ha dovuto inventare una nuova narrazione, molto più sexy, la “transizione verde”. Sulla quale, per ottenere un grande consenso globale (da parte dei tosandi…), occorreva agire con una massiccia (dis)informazione con tutti i crismi del “verbo della scienza”, marca Nazioni Unite. Ed ecco la grande invenzione di istituire IPCC (nel 1989, che preveggenza!). Effettivamente, così torna tutto. Grandi manifestazioni popolari di ragazzi “gretini” nei Fridays for future che fanno pressioni sui governi, i quali li assecondano dato che rappresentano il futuro (futuri votanti, futuri contribuenti, futuri manager, ecc.). Il processo è talmente ben congegnato che sembra irreversibile. Ma averne consapevolezza è almeno qualcosa.

  • Conclusioni ed appello ai giovani
    • La lettura di “Dialoghi sul clima -Tra Emergenza e Conoscenza”, a Cura di Alberto Prestininzi , Edizioni Rubettino, Ottobre 2022, è davvero illuminante. Imprescindibile per avere una idea approfondita e scientificamente basata e meno superficiale di quella che viene diffusa tutti i giorni dai media. Si compone di 15 diversi contributi di scienziati ed esperti di varie materie, introdotti e coordinati dal Prof. Alberto Prestininzi: Mario Giaccio “Economia e finanza delle politiche climatiche”, Nicola Scafetta “Interpretazione del cambiamento climatico: dai modelli basati sulla CO2 a quelli basati sulle oscillazioni astronomiche”, Uberto Crescenti “Contributo delle scienze geologiche alla conoscenza delle variazioni climatiche del passato”, Franco Battaglia “Non esiste alcuna emergenza climatica”, Augusta Vittoria Cerutti “Clima e ghiacciai”, Teresa Nanni, Franco Prodi “Il sistema climatico”, Ernesto Pedrocchi “Il clima globale cambia. Quanta colpa ha l’uomo?”, Piergiorgio Rosso “Il bilancio energetico italiano tra produttori, consumatori e tecnologie”, Gianluca Alimonti “Eventi climatici estremi: siamo in emergenza?”, Renato Angelo Ricci “Scienza ed emergenze climatiche. Qualcosa non torna. La Scienza è al servizio solo della conoscenza”, Luigi Mariani “Clima, agricoltura e sicurezza alimentare”, Giuliano Ceradelli “I benefici effetti della CO2”, Giovanni Brussato “Energia verde? Prepariamoci a scavare”, Enrico Mariutti “La decarbonizzazione felice. Perché serve un nuovo modello di transizione ecologica”, Elodia Rossi “Oltre le righe dell’accordo di Parigi. La strana storia del Global Warming”. Nei paragrafi che precedono ne ho citati solo alcuni (per ragioni di spazio e per non abusare troppo della pazienza dei lettori), dai quali ho estratto brani che ho ritenuto significativi. Ma altrettanto fondamentali sono tutti gli altri contributi, in particolare quelli delle scienze geologiche e dello studio dei ghiacciai, che forniscono notizie imprescindibili, che consiglio vivamente di leggere.
    • L’International Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite è stato sorpreso a truccare i dati, ad omettere i dati che smentiscono i propri teoremi indimostrabili, a lanciare periodicamente allarmi catastrofisti che non si sono mai verificati, attraverso riassunti per i decisori politici che smentiscono gli stessi suoi rapporti sul clima. L’IPCC, il cui presidente storico Rajendra Pachauri è stato pesantemente sospettato di giganteschi conflitti di interesse,  non è un organismo scientifico ma politico, il cui ruolo è «di valutare su una base globale, obiettiva, aperta e trasparente le informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche rilevanti per comprendere i rischi dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo, i potenziali impatti e le opzioni di adattamento e mitigazione» (Principles Governing IPCC Work: https://archive.ipcc. ch/organization/organization_history.shtml). Cioè, l’IPCC è responsabile dell’avanzamento delle conoscenze sui cambiamenti climatici indotti dall’“uomo” e non di quelli indotti dalla “natura” e, quindi, le scelte dell’IPCC sono sicuramente viziate da un pregiudizio ideologico finalizzato a enfatizzare il contributo climatico antropico su quello naturale”. Non è vero che la maggioranza assoluta degli scienziati sul clima sono raggruppati nell’IPCC, tanto è vero che una rete globale di oltre 1400 scienziati e professionisti ha preparato questo messaggio urgente (3): “https://clintel.org/italy-wcd/ La scienza del clima dovrebbe essere meno politica, mentre le politiche del clima dovrebbero essere più scientifiche. Gli scienziati dovrebbero affrontare apertamente le incertezze e le esagerazioni delle loro previsioni sul riscaldamento globale, mentre i politici dovrebbero spassionatamente valutare i costi reali così come i benefici, ipotizzati dalle loro misure politiche”. Alcuni eminenti scienziati hanno contrastato e abbandonato l’IPCC: Rex Fleming, esperto di scienze dell’atmosfera e già presidente del Global Aerospace, che ha rappresentato gli Stati Uniti sulle questioni ambientali per oltre un decennio ed è stato membro dell’IPCC, ne esce volontariamente e con indignazione. In diversa sede, Ivar Giaever, noto fisico e premio Nobel (1973), che denuncia la tesi secondo la quale le attività umane sono alla base del riscaldamento globale, consegna le dimissioni dall’Accademia durante un discorso, tenuto in presenza di Al Gore, all’American Physical Society, a seguito di un comunicato della medesima Società che dichiara incontrovertibile la tesi, appunto, del riscaldamento globale. È il settembre del 2011 e già l’anno precedente un altro eminente scienziato, il compianto Harold Warren Lewis (già professore emerito di fisica ed ex presidente del Dipartimento dell’Università della California Santa Barbara – UCSB), si dimette con una motivazione diretta e inequivocabile: «il riscaldamento globale è la più grande e riuscita frode pseudoscientifica che abbia mai visto nella mia lunga carriera di fisico».  
    • La CO2 è erroneamente criminalizzata da tutti i media e dall’IPCC. Come se fosse il nostro maggior nemico. Dimenticando che la CO2 è il necessario alimento per il mondo vegetale. Infatti la più elevata disponibilità di CO2 degli ultimi decenni sta dando luogo ad un arretramento generalizzato dei deserti e a un rinverdimento del pianeta. Non ci sono evidenze statistiche che la fase di riscaldamento terrestre in corso, iniziata nel 1850 e successiva alla cosiddetta Piccola Era Glaciale, abbia intensificato o reso più frequenti gli uragani, le alluvioni, la siccità e i disastri naturali. Invece le misure di contenimento della CO2 sono tanto dannose, quanto costose. Non c’è nessuna emergenza climatica, pertanto non c’è alcuna ragione che giustifichi panico e allarme. In conclusione, occorre opporsi fermamente alle irrealistiche politiche di Zero Netto di CO2 previste per il 2050. Al contrario di ciò che si sta facendo ora, lo scopo della politica internazionale dovrebbe essere quello di fornire energia affidabile e a buon prezzo per tutti. Mentre la scienza si sforza per capire meglio il cambiamento climatico, la politica dovrebbe minimizzare i rischi potenziali e puntare su tecnologie rodate ed economicamente accessibili.  Non è la CO2 che provoca l’innalzamento della temperatura, ma esattamente il contrario. Quando si tratta di impegnare ingenti risorse finanziarie pubbliche, prelevandole dalle tasche dei contribuenti, sarebbe d’obbligo effettuare una corretta analisi costi/benefici. Indirizzando gli investimenti pubblici verso le azioni che maggiore beneficio portino alla umanità. Ad esempio, invece di criminalizzare la CO2 ed avere l’ossessione (insana) di azzerarla, combattendo l’inquinamento e migliorando l’immagazzinamento e la gestione dell’acqua. E, peraltro, è tutt’altro che dimostrato scientificamente che azzerando la CO2 si avrebbe un abbassamento delle temperature.
    • Non esistono modelli validati che prevedano il clima futuro. Le uniche previsioni meteorologiche affidabili sono quelle ad una settimana, max 10 giorni. Quindi le svariate decine di modelli utilizzati da IPCC per le sue proiezioni future forniscono scenari ed indicazioni senza fondamento scientifico validato. Inoltre, nessuno di questi modelli riesce a simulare i cicli climatici del passato, sui quali esistono, invece, numerosi studi scientifici validati (si vedano gli studi geologici e quelli sui ghiacciai (1). Diversi dati attendibili sul clima del passato permettono di sviluppare un approccio descrittivo che può aiutare a meglio conoscere la scienza del clima. Ora è in atto da parte di quasi tutti i media una campagna di disinformazione devastante e c’è il sospetto che specialmente a livello di divulgazione sia in atto una specie di censura per avvalorare l’ipotesi della natura antropica del riscaldamento globale (“Antropogenic Global Warming” – AGW) come verità ufficiale non concedendo spazio ai tanti dubbi che a tutt’oggi pure ci sono. Proprio i dubbi e le domande aperte sono infatti elementi essenziali per il progresso scientifico.”
    • La transizione verde non è sostenibile. Per realizzare i milioni di pannelli fotovoltaici necessari sono indispensabili terre rare e metalli le cui riserve globali sono di molti ordini di grandezza inferiori alla domanda prevista. Risulta evidente come la costruzione di 1.200.000 turbine necessarie per il solo onshore richiederebbe centinaia di milioni di tonnellate di acciaio, decine di milioni di tonnellate di rame, zinco, nichel oltre a una quantità di metalli rari la cui disponibilità è lontana dalle possibilità delle nostre catene di approvvigionamento. La gigantesca ed epocale attività mineraria che si impone per rendere possibile la transizione verde comporterebbe modifiche dell’alveo dei fiumi, contaminazione ed esaurimento dei corpi idrici, distruzione di habitat, deforestazione, frammentazione di ecosistemi e perdita di biodiversità. Ed è da sottolineare che la Cina controlla circa l’89% dell’offerta del mercato delle rinnovabili. Su un pianeta con un miliardo di automobili, la conversione in veicoli elettrici richiederebbe molto più metallo di tutte le riserve terrestri esistenti e l’estrazione comporterebbe un pesante tributo ambientale e sociale. Il destino della transizione energetica europea è, in senso letterale, sulle spalle del gigante delle emissioni globali: la Cina le cui emissioni globali superano quelle di USA e UE insieme.”
    • APPELLO AI GIOVANI :  Cari ragazzi, infine, permettetemi di rivolgermi direttamente a voi. Non posso nascondere una viva simpatia ed empatia con voi e le vostre manifestazioni dei “fridays for future” (un po’ meno con quelli di voi che si impegnano in imbrattamenti di opere d’arte e di monumenti, dovessi dire…). L’espressione di energia, di entusiasmo, di impegno convinto (e certamente in buona fede) per un futuro migliore, è ammirevole e perfino contagioso. Provoca a noi “diversamente giovani”… piacevoli sentori proustiani. Siete il nostro futuro (senza tema di smentita). Parafrasando uno dei massimi maestri del cinema, Sir. Alfred Hitchcock, che usava dire che per fare un buon film sono indispensabili 3 cose: 1) la sceneggiatura, 2) la sceneggiatura e 3) la sceneggiatura, dico sempre ai miei studenti che per riuscire nello studio e nella vita in generale sono altrettanto indispensabili 3 cose: 1) studiare, 2) studiare e 3) studiare (chi più sa, più vale e, inoltre, ricordo che uno dei nostri più grandi statisti, Luigi Einaudi, usava dire “conoscere per deliberare”, cioè prima di decidere cosa è bene o non bene fare, in cosa sia opportuno impegnarsi oppure no, occorre conoscere bene la materia). Vi esorto, quindi, a studiare, approfondire, documentarvi sulle cose che vi appassionano e non limitarvi al sentito dire dai media tradizionali. Se siete arrivati a leggere fino a qui, vuole dire che almeno vi ho interessati, incuriositi. E, magari, a considerare di coltivare qualche (ragionevole) dubbio sulla narrativa generale dei media sulla emergenza climatica. Ad esempio sul paradosso che, per conseguire un clima migliore, si debba depredare il pianeta di enormi quantità di metalli per costruire i pannelli fotovoltaici, le torri eoliche e le auto elettriche, compromettendo seriamente la qualità delle acque e la conservazione della preziosa biodiversità. Studiando, approfondendo, per mezzo della coltivazione del dubbio e della curiosità, forse potreste avvertire la incertezza sul fatto che a spingere sulla transizione verde sia (soprattutto) la grande finanza internazionale, con lo scopo, non esattamente filantropico, ma legittimo, di incrementare i propri profitti (molto meno leciti i sistemi che usa per farlo, quali il travisamento della realtà e l’occultamento dei pesanti prezzi da pagare sul piano ambientale, ecc.) e forse potreste avere il dubbio che forse la transizione verde non è il sistema più efficiente, più democratico e più a favorevole al benessere della umanità ed alla equità sociale. Se così fosse, i “Fridays for future” sarebbero tra i migliori alleati di questo disegno della finanzia internazionale, che non è esattamente commendevole. C’è un termine, né elegante, né simpatico, ma che rende bene l’idea, in questa ipotesi, svolgereste il ruolo degli “utili idioti” di questo scellerato disegno. Non pensate che questo dubbio dovreste provare a fugarlo?

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • LA TRAGEDIA ANNUNCIATA DI ISCHIA ED I CAMBIAMENTI CLIMATICI, Catello Masullo :

 La risorsa suolo e il dissesto del territorio. Seminari di approfondimento sul consumo di suolo, trasformazioni territoriali, ed infrastrutture, Marzo, Aprile, Maggio 2019

 BUONE PRATICHE PER LIMITARE GLI EFFETTI DELL’IMPERMEABILIZZAZIONE DEL SUOLO: PRESENTAZIONE DI CASI STUDIO DI INVARIANZA IDRAULICA, CATELLO MASULLO https://www.cinecircoloromano.it/2023/03/il-parere-dellingegnere/invarianza-idraulica-catello-masullo/