Impersonare in tempo reale, – di Roberto Vacca, L’Orologio – 14/11/2023

Impersonare in tempo reale, – di Roberto Vacca, L’Orologio – 14/11/2023

Cacciatori e guerrieri raccontavano le loro avventure la sera accanto al fuoco. Gli ascoltatori si sentivano impersonati in quei protagonisti. Si sentivano come eroi e ripetevano ad altri quelle saghe come se fosse roba loro. Le epopee, però, diventavano lunghe e complesse. Guerre e conquiste duravano per secoli. Immedesimarsi diventava difficile.

Così i greci inventarono i teatri in cui Aristotele impose alle tragedie l’unità di tempo e di luogo. Gli eventi dovevano essere recitati o narrati dagli attori in una sola giornata e in un solo luogo. Le loro azioni contribuivano a raccontare la storia. I loro moti dell’animo, i loro pensieri, le loro intenzioni e la loro vita passata erano anche raccontati a voce o cantati. Il pubblico non trovava artificioso questo modo di comunicare. Nelle commedie di pochi secoli fa anche il Goldoni faceva parlare gli attori direttamente con il pubblico. Dopo che un personaggio in scena aveva detto o fatto qualche cosa di curioso, un altro attore poteva commentare – magari strizzando l’occhio e poi continuando a recitare:

“Oh, che bel matto!” [segnata nel copione con:  (a parte)].

Nei romanzi degli ultimi secoli la mente e la coscienza di personaggi sono  state narrate con efficacia. Il lettore viene condotto a seguire processi mentali, dubbi, ragionamenti, pentimenti. Viene colpito dalla critica di errori tanto simili a quelli che ha compiuto lui stesso – scanditi secondo per secondo. Rivive rimpianti di errori ormai irrimediabili: con dolore crescente quando gli errori sono monumentali – la perdita di un’amicizia importante o di molto denaro. Esasperante la perdita di una fortuna al gioco. I pensieri di Nikolaj Rostov mentre sta perdendo forti somme in un gioco d’azzardo con Dolochov, il disertore, sono riportati uno per uno da Tolstoj (Guerra e Pace. Parte II, Capitolo 14). Ti sembra di sentire il ticchettìo della pendola che scandisce i secondi della graduale rovina che rode la mente di Nikolaj.

“Non ho fatto niente di male. Ho ucciso od offeso  qualcuno? Perché, allora, questa disgrazia colpisce proprio me? Quando è cominciata? Pochissimo tempo fa ho deciso di venire a questo tavolo e di vincere cento rubli per comprare un bel cofanetto per il compleanno della mamma. Poi sarei tornato a casa. Ero felice – senza pensieri. Non mi rendevo nemmeno conto di quanto fossi felice. Poi: tutto finito – ed è venuta questa situazione orribile. Ero seduto qui, sceglievo e giocavo le carte e guardavo le mani di Dolochov – ossute e veloci – con i peli neri che spuntavano dai polsini. Che cosa è successo? Sono sano e forte. Sono lo stesso uomo di prima e siedo allo stesso posto. Non può essere! Certo  andrà tutto a posto.

Non andò tutto a posto. Rostov perse 43.000 rubles. Dovette chiedere la somma a suo padre che, anche lui, era a corto di soldi. Se tuo padre non riesce a procurarsi  il denaro per pagare i tuoi debiti, le cose ti andranno peggio.

L’ineluttabile pesantezza del tempo si può descrivere, dunque, in parole. È possibile, ma arduo, per un attore comunicarla in una scena integrando le parole con posture ed espressioni del volto.

Le parole di certe poesie, anche non famose, mi avvicinano al tempo e al mondo in  modi che non capisco, ma che funzionano. Una di queste   è di Juan Rodolfo Wilcock.  Ne riporto solo 6 versi:

Ringraziare voglio il divino

Labirinto degli effetti e delle cause

Per la diversità delle creature

Che compongono  questo singolare universo,

per quel sogno di Islam che abbraccia

mille notti e una notte.