SARTRE E ARON : CHI AVEVA RAGIONE?

a cura di Catello Masullo 

Nell’anno 2006 si è celebrato il centenario della nascita di due tra i più grandi intellettuali francesi del secolo scorso, Jean Paul Sartre et Raymond Aron, entrambi nati, appunto , nel 1905. Ma non è solo l’anno di nascita che hanno condiviso : entrambi di origine ebrea, sono stati compagni di scuola alla celeberrima Ecole Normale Supérieure di Parigi, entrambi si recano in Germania a studiare negli anni 30. Per tutta la vita si sono scontrati, praticamente su tutto. Il 6 marzo del 2006, con un bello articolone della pagina culturale del Corsera, Pierluigi Battista diede la stura ad un appassionato dibattito via stampa. Provo di seguito ad estrarre alcuni brani degli articoli che ho raccolto, partendo proprio da quello di Battista. Sono quasi tutti del Corriere della Sera,  con una incursione su Il Foglio di Ferrara, che si inserisce dando la “parola” direttamente ad Aron, riportando integralmente uno dei saggi magistrali del filosofo, pubblicato nel 1956.

PIERLUIGI BATTISTA, CORSERA 6 MARZO 2005 

I giovani parigini che gridavano “meglio avere torto con Sartre che ragione con Aron”, credevano forse di enunciare solo un paradosso, invece descrivevano una legge crudele che proprio in questo 2005…. Appare ancora una volta ineluttabile. Per Aron , che aveva ragione, poche e svogliate commemorazioni. Per Sartre , che aveva torto, il piedistallo della leggenda postuma… Ebbe ragione Aron ad abbandonare allarmato l’Università tedesca alla vigilia dell’avvento di Hitler; ebbe torto il “petit camarade” Sartre, esattamente nello stesso periodo, a recarsi in Germania, nella più totale indifferenza per ciò che gli stava accadendo intorno. Ebbe ragione Aron a seguire Charles De Gaulle nel 1940 e a impegnarsi come redattore capo del giornale LA FRANCE LIBRE;  ebbe torto Sartre a risiedere nella Parigi occupata dai nazisti, dove le sue opere teatrali non trovavano difficoltà nell’aggirare gli ostacoli della censura tedesca. Ebbe ragione Aron a non indietreggiare di un millimetro nella denuncia del totalitarismo comunista; ebbe torto Sartre a contribuire alla minimizzazione dei crimini sovietici (già subiti dopo la fine della guerra, come si evince dalla lettura dei MANDARINI della de Beauvoir), all’occultamento degli orrori del Gulag per non avvilire il morale degli “operai di Billancourt”, al linciaggio di quelli che definiva i “cani” dell’aticomunismo, alla cancellazione nel 1952 della messa in scena della commedia LE MANI SPORCHE come atto di sottomissione ai diktat del Partito di cui era diventato subalterno compagno di strada. Ebbe ragione Aron ad analizzare con freddezza lo “psicodramma” parigino del sessantotto e a coniare il termine “groupuscules” per bollare la tendenza nevrotica alla frammentazione esasperata dell’oltranzismo ideologico dell’estrema sinistra; ebbe torto Sartre a farsi immortalare mentre distribuiva per le strade uno dei tanti fogli maoisti dell’epoca. Una sola volta Sartre ebbe ragione, e fu quando, mentre l’Occidente assisteva impotente allo spettacolo dei boat people vietnamiti, si recò da Aron per chiedere “obtorto collo” scusa all’avversario che aveva avuto ragione anche nella valutazione della guerra del Vietnam. Fu un gesto clamoroso. Ma non ebbe alcuna conseguenza sul destino dei due.……..l’aver avuto, non sporadicamente, ma sistematicamente torto, nella certezza che mai verrà pagato un prezzo per gli innumerevoli errori commessi, costituisce di necessità un potente incentivo alla tentazione di commettere nuovi sbagli. 

ANGELO PANEBIANCO, CORSERA 7 MARZO 2005

 Il venditore di miti è inevitabilmente preferito al maestro delle analisi sottili. Molti di loro (gli intellettuali, ndr.) , ad esempio, interpretano il proprio compito come quello di “critici dell’esistente”, della società in cui vivono, e poiché solo le società liberali danno agli intellettuali libertà di parola, ecco che criticare la società liberale diventa parte integrante del mestiere. Così come non è difficile vedere la mentalità illiberale che si nasconde dietro alle tristi affabulazioni (in puro stile sartiano) sulla “resistenza” irakena. Al fondo c’è  un atteggiamento che non è cambiato. Proprio gli intellettuali, come scriveva Aron, “implacabili verso le debolezze delle democrazie ma indulgenti nei confronti dei più grandi crimini, purché perpetrati in nome delle buone dottrine”.  

GIORGI MONTEFOSCHI, CORSERA 10 MARZO …..del nostro sessantotto si impadronirono i violenti per professione e fede, i rivoluzionari duri e puri, i giacobini che scendevano dalla Alfette di papà o tiravano i sassi ai poliziotti poveri del sud (come stigmatizzò Pasolini) e che nel cuore di quella violenza si annidò e fu ben custodito il seme del cancro che poi portò agli “anni di piombo”. Del resto erano gli anni intransigenti. Davvero : avevano sempre ragione soltanto quelli che avevano torto. Quelli che pensavano che in Italia invece del centro-sinistra ci fosse una dittatura. Quelli che negavano i gulag e alzavano le spalle se si osava fare il nome dei dissidenti. Quelli che, come il nostro premio Nobel Dario Fo,,, tornavano dalla Cina col Libretto di Mao e ci raccontavano che quel paese era il paradisio della libertà. Quelli che teorizzavano (poco prima che il comunismo crollasse in tutto il mondo) la rivoluzione mondiale proletaria. Quelli che pensavano che Israele non  dovesse esistere. 

SERGIO LUZZATTO, CORSERA 13 MARZO 

SI cita una frase di Sartre : “Il suffragio universale è un’astuzia del potere borghese per sostituire una legalità alla legittimità dei movimenti popolari e della democrazia diretta.”  La vera priorità del buon rivoluzionario consiste nel “rigetto via via più radicale di qualunque obbligo imposto all’individuo da una classe che non è la sua”. Inutile negare l’evidenza : sino alla fine Sartre è stato un pensatore fondamentalmente antidemocratico. 

ANGELO PANEBIANCO, CORSERA 20 MARZO 

Aron è stato un agguerritissimo conoscitore dell’opera di Marx. Il punto interessante è che l’uso che Aron faceva del filosofo di Treviri scandalizzava i marxisti dell’epoca sua. Aron lo trattava infatti come un importante autore classico e ne faceva, come si deve fare con i classici, un uso strumentale. Si serviva cioè dell’una o dell’altra tesi di Marx per porre domande interessanti sulla società contemporanea. L’attenzione di Aron per Marx, lungi da suscitare apprezzamento, infastidiva i marxisti per i quali l’opera del loro maestro non era quello di un “importante classico” (fra gli altri), ma una sorta di Bibbia, e il marxismo stesso, come amava dire Aron, una religione secolare. Come mostra anche il successo pubblico del Sartre “politico”, chi è affamato di “visioni” non si limita ad andare al cinematografo (secondo lo sprezzante consiglio di Weber). Pretende di trovarle anche in politica.  

LUIGI COMPAGNA, IL FOGLIO 26 MARZO 

Sartre diceva : “Sono un francese, non un israelita” …..l’ebreo , secondo Sartre , è sempre stato considerato uno straniero, un non assimilato in seno alla sua stessa collettività. Secondo Sartre è la società che ha creato l’ebreo e ha fatto crescere la questione ebraica. Per Aron, invece, è parte di un gruppo storico Erigendo se medesimo a monumento del filosofo profeta, Sartre finì con l’accreditarsi come instancabile chansonnier della rive gauche, interprete di un sinistrismo ripetitivo, fuggito dalla filosofia, come amava dire Lucio Colletti, verso le scorciatoie della letteratura : dall’essere al nulla, per certi aspetti. Aron, invece, resta il maggior pensatore liberale del secolo, sociologo di una storia contemporanea vissuta senza estetismi e senza abdicazioni.  

RAYMOND ARON, “IL FANATISMO, LA PRUDENZA, LA FEDE” , PREUVES , 1956 (TRADUZIONE DI MARINA VALENSISE, IL FOGLIO, 26 MARZO) (Il saggio occupa due intere paginone del Il Foglio, provo ad estrarne qualche brano, ma sarebbe consigliabile la lettura integrale, di grande interesse e di straordinaria attualità, nonostante i 60 anni passati dalla pubblicazione : le idee non invecchiano, almeno quelle buone!) Sartre e Merleau-Ponty….. ignorano la totalità, la cui presa di coscienza segna per il filosofo l’avvento della saggezza.

La storia incompiuta non impone verità alcuna, La libertà dell’uomo è capacità di autocreazione, ma , almeno nell’ESSERE E IL NULLA non si riesce a capire a quale legge tale creazione dovrebbe obbedire o verso quale obiettivo dovrebbe tendere. Se il filosofo ignora cos’è la virtù e ingiunge ai suoi discepoli di essere sé stessi, costoro sbaglieranno forse a pensare che la risoluzione sia più importante del suo stesso contenuto. Avendo escluso una legge morale che dovrebbe comandare le intenzioni, risoluti ad ignorare le virtù o il perfezionamento interiore che i Greci o i Cristiani proponevano come ideale di vita, gli esistenzialisti suggeriscono al singolo di provvedere alla propria salvezza secondo la propria legge, e si salvano dall’anarchia soltanto per l’idea di una comunità, in cui gli individui dovrebbero riconoscersi reciprocamente per la loro umanità. Il marxismo di Sartre e Merleau-Ponty ha una origine in parte accidentale.

L’uno e l’altro, vivendo a occidente della cortina di ferro, si ritrovano ostili alla democrazia borghese e incapaci di aderire al comunismo di cui rifiutano l’ortodossia. Il pensiero radicale di Marx era minato da un errore radicale : ricondurre tutte le alienazioni ad un’unica origine, e postulare che la fine dell’alienazione economica avesse come conseguenza la fine di tutte le alienazioni. Gli esistenzialisti francesi….hanno amplificato il DOTTRINARISMO, moltiplicando la confusione tra universale e particolare, che è il peccato più grave del pensiero politico, confusione alla quale sono inclini tutti i teorici. Per DOTTRINARISMO noi intendiamo l’attribuire un valore universale a una dottrina particolare. 

Ma come si fa a sapere che il termine prossimo della storia ne sarà la fine, se della verità storica si prende coscienza solo in modo retrospettivo? O ancora, se la storia non è compiuta, come si fa ad asserire che essa finirà, se l’avvenire, è, per definizione, imprevedibile? Gli esistenzialisti cominciano dalla negazione, prossima al nichilismo, di ogni costanza umana o sociale, e finiscono con una affermazione dogmatica di una UNICA VERITA’ in una materia in cui la verità non può essere una. Ben vengano gli scettici, se servono a spegnere il fanatismo. 

LE RIVOLUZIONI CHE SI RICHIAMANO AL MARXISMO SONO RIUSCITE SOLO IN QUEI PAESI DOVE NON SI ERA PRODOTTO LO SVILUPPO TIPICO DEL CAPITALISMO; LA FORZA DEI PARTITI COMUNISTI IN OCCIDENTE E’ IN RAGIONE INVERSA DELLO SVILUPPO CAPITALISTICO; IN FRANCIA O IN ITALIA AD INGROSSARE LE FILE DEI PARTITI RIVOLUZIONARI NON E’ IL DINAMISMO CAPITALISTICO, BENSI’ LA SUA PARALISI. 

Decretare che l’operaio di una fabbrica capitalistica, in Francia o negli USA, è sfruttato in quanto tale, e l’operaio di una fabbrica sovietica non lo è più, rinvia non al pensiero scientifico, bensì alla stupidaggine. E’ solo un modo di sostituire con una battuta l’ingrata indagine sulla realtà. A rigore, le classi dirigenti di alcuni paesi islamici o asiatici potrebbero venire ad un compromesso con miseria dei poveri (anche con la tecnica occidentale, non sono più sicuri di porvi rimedio se il tasso di nascita resta troppo alto) ma non vogliono adattarsi alla schiavitù alla quale li condannerebbe l’assenza di industria. Basta dimostrare che gli obiettivi economici della sinistra si possono raggiungere nel quadro dei regimi occidentali per dissipare il prestigio della mitologia rivoluzionaria e incitare gli uomini a risolvere ragionevolmente problemi che sono tecnici più che ideologici. 

Il pregiudizio favorevole nei confronti della tirannia di un partito unico, che innalza a ideologia ufficiale una superstizione pseudorazionalistica è, ai miei occhi, la vergogna degli intellettuali di sinistra. Non solo essi sacrificano il meglio dell’eredità dell’illuminismo – rispetto della ragione, liberalismo- ma il sacrificio avviene in un’epoca in cui nulla più lo giustifica, almeno in Occidente, dove l’espansione economica non richiede affatto la soppressione del parlamento, dei partiti o della libera discussione di idee. 

La repressione semiviolenta che gli occidentali esercitano a Cipro o in Africa viene impietosamente denunciata, mentre la repressione radicale in Unione Sovietica, con trasferimenti di popolazione, viene ignorata e perdonata. Le libertà democratiche s’invocano solo contro i governi democratici d’Occidente, mentre se ne giustifica la soppressione se essa è opera di un regime che si proclama proletario. L’analisi politica ci guadagna a spogliarsi di ogni sentimentalità, La lucidità procede a fatica, mentre la passione ritorna da sola al galoppo.  

MASSIMO NAVA, CORSERA 14 GIUGNO Nicolas Bavarez, storico ed economista, biografo di Aron, dice : “La lezione di Aron è semplice e attuale, perché aiuta a liberarsi dei falsi miti e delle sterili contrapposizioni ideologiche. … Basterebbe riscoprire concetti elementari : che tutte le forme di lavoro sono preferibili alla disoccupazione e che la ricchezza non si ridistribuisce senza produrla.” 

 ++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

Per parte mia, dopo tanti autorevolissimi pareri, cosa aggiungere? Nulla. Mi piacerebbe solo fare un’ultima citazione che mi è venuta in mente mentre leggevo gli articoli su Sarte e Aron. Un brano di un grande filosofo arabo del XIV secolo, IBN KHALDUN, che nella sua opera MUQADDIMA, così spiegava le ragioni di una lenta, ma inesorabile decadenza, a partire del secolo XIII, della civiltà araba, allorquando aveva conseguito incontestabili primati in ogni campo del sapere, dalla teologia alla filosofia, dalla matematica alla logica, dall’astronomia alla geografia, dalla medicina alla storiografia: “Vessare la proprietà privata significa uccidere negli uomini la voglia di guadagnare di più, riducendoli a temere che la spoliazione sia la conclusione dei propri sforzi. Una volta privati della speranza di guadagnare, essi non si prodigheranno più.

Gli attentati alla proprietà privata fanno crescere il loro avvilimento. Se essi sono universali e se investono tutti i mezzi di esistenza, allora la stagnazione degli affari è generale, a causa della scomparsa di ogni incentivo a lavorare. Al contrario, a lievi attentati alla proprietà privata corrisponderà un lieve arresto del lavoro. Poiché la civiltà , il benessere e la prosperità pubblica dipendono dalla produttività e dagli sforzi che compiono gli uomini, in tutte le direzioni, nel loro proprio interesse e per il loro profitto, quando gli uomini non lavorano più per guadagnarsi la vita e cessa ogni attività lucrativa, la civiltà materiale deperisce e ogni cosa va di male i  peggio. Gli uomini per trovare lavoro si disperdono all’estero.

La popolazione si riduce: Il  Paese si svuota e la sue città cadono in rovina. La disintegrazione della civiltà coinvolge lo Stato, come ogni alterazione della materia è seguita dalla alterazione della forma”. Non so se Marx e Sartre abbiano mai letto questi concetti semplici semplici enunciati nel lontano 1300. E non so neanche se li avesse letti Aron, ma certamente li condivideva.